Livello D

SEZIONE I - Rhegion

Rhegion. La grande colonia calcidese

All’età del Ferro risalgono i resti della necropoli rinvenuta a Ronzo di Calanna: le sepolture a inumazione hanno re­stituito vasellame indigeno, tipico della fase della precoloniz­zazione. Rhegion, grazie alla sua posizione strategica, entra a far parte di una fitta rete di rotte commerciali aperta sia a Oriente che verso l’area tirrenica. Contatti con l’area etrusca sono testimo­niati da tre esemplari di bucchero. Inizia anche la produ­zione locale di vasi a figure nere e rosse (ceramica calcidese), databili tra l’VIII e il VI secolo a.C.
Già dalla fine del VI secolo a.C. la città comincia a coniare monete. Nel secolo successivo queste assumono il tipo caratteristico con la testa di leone frontale. Un’inusuale testimonianza della vita politica della città è rappresentata dalle sferette in terracotta con iscrizioni, utilizzate nei ballottaggi amministrativi.

Rhegion. Le produzioni locali

Accanto alle ceramiche di importazione, a partire dalla secon­da metà del V secolo a.C. in tutta la Magna Grecia si svilup­pa una prolifica produzione di ceramica italiota a figure rosse, caratterizzata da ricche policromie e colori sovradipinti in bian­co, giallo e rosso; esempio di tale produzione è il frammento di cratere con Eracle e Medusa.
Dalla parte collinare della città giungono attestazioni di una cospicua presenza di abitazioni private, dotate di cisterne per la raccolta dell’acqua e oggetti di uso domestico. La presenza di fornaci è confermata dal rinvenimento di scarti di produzione e matrici in terracotta.
Dall’area sacra di loc. Griso-Laboccetta proviene un nutrito numero di statuette votive, nonché la grande lastra a rilievo dipinto con scena di danza, che costituiva forse una metopa. Le aree destinate alle necropoli erano ubicate fuori le mura della città, come nella zona di S. Giorgio Extra, contrada Borrace e in località Ravagnese.

SEZIONE II - Regium Iulii

Reggio romana

Le testimonianze epigrafiche di II secolo a.C. forniscono indica­zioni sull’organizzazione politica della città.
A partire dal II secolo a.C., con la romanizzazione al greco si affiancò l’uso del latino: ciò è testimoniato dall’epigrafe in lin­gua mista di Fabia Sperata e del rodio Sallustio Agatocle. Per tutta l’età imperiale Reggio rimase uno scalo strategico tra Oriente e Occidente. Per ricostruire quali fossero le rotte di na­vigazione e commercio lungo le coste calabresi in età romana importanti indicatori sono le ceramiche africane, vasellame fine da mensa che sostituisce le produzioni italiche e galliche conquistando i mercati mediterranei tra il II e il III secolo d.C.
Un’altra importante testimonianza è offerta dai ceppi di ancore in piombo e dalle anfore di varia provenienza e cronologia.

Il kouros marmoreo di Reggio Calabria

Si tratta di una statua in marmo pario, purtroppo lacunosa, il cui nome deriva dalla parola greca che indicava il “fanciullo”. In archeologia viene usata per indicare una classe di statue ma­schili nude in posizione frontale, con le braccia distese lungo i fianchi e una gamba avanzata. La statua è databile intorno al 500 a.C. e ha un’altezza di circa cm 90 (originariamente doveva misurare circa cm 130). Nonostante la provenienza del marmo dall’isola greca di Paros, è possibile che sia opera di un’artista operante in Magna Grecia, presumibilmente a Reggio.
Il volto presenta occhi definiti solo in parte, originariamente contornati da una linea scura sovradipinta e da labbra rialzate all’estremità, nel cosiddetto “sorriso arcaico”. La raffinata capi­gliatura è costituita da quattro file di riccioli a chiocciola sulla fronte e sulle tempie, con ciocche ondulate a raggiera raccolte attorno alla nuca in una morbida treccia. Si conservano estese tracce di colore rosso.
L’immagine è stata inizialmente identificata con un giovane atleta e la statua ritenuta a carattere funerario (come segna­colo di una tomba) oppure cultuale (ex-voto in un santuario). Di recente è stata avanzata l’ipotesi che si possa trattare della raffigurazione di Apollo.

I Bronzi di Riace e il relitto di Porticello

I Bronzi di Riace

Scoperte nell’agosto del 1972 da Stefano Mariottini a Riace (RC), le due magnifiche statue in bronzo furono prontamente recuperate e trasportate al Museo nazionale di Reggio Cala­bria, dove furono sottoposte ad un primo intervento di restau­ro che permise la rimozione degli strati superficiali di sabbia concrezionata. Sono seguiti poi nuovi restauri a Firenze e an­cora a Reggio.
Numerose sono le ipotesi inerenti la loro identificazione: non è ancora stato stabilito con assoluta certezza se la coppia di statue costituisse, fin dalle origini, un gruppo unico oppure se il loro accostamento fosse stato realizzato solo in occasione del trasporto via mare. Anche l’identificazione è piuttosto incerta e dibattuta: atleti, eroi (come Agamennone e Aiace, Achille e Patroclo, Tideo e Anfiarao) o divinità (Castore e Polluce).
Lo studio delle terre di fusione ha permesso di stabilire la pro­venienza greca delle due statue, rispettivamente dall’Attica e l’Argolide. Presentano quasi la stessa statura (Bronzo A: m 1,98; Bronzo B: m 1,97), le medesime nudità – emblema della condi­zione divina o eroica – e la postura (la gamba destra è portante, la sinistra è piegata). Originariamente erano accompagnati da armi: l’elmo, lo scudo (sorretto dal braccio sinistro piegato) e la lancia (tenuta dalla mano destra abbassata). I dettagli anatomi­ci sono resi con estrema accuratezza – dall’epidermide affiora­no vene e arterie – e la muscolatura possente trasuda fisicità e forza. Gli occhi sono in calcite bianca, con iridi in pasta vitrea e caruncola lacrimale in pietra rosa; labbra, ciglia e capezzoli sono realizzati in rame, mentre la dentatura in lamina d’argento. Sono entrambi prodotti con la tecnica della “fusione a cera persa”.
Il Bronzo A possiede una capigliatura lavorata e rifinita sulla sommità e una barba fitta e abbondante, con ciocche mo­dellate singolarmente; sulla fronte è applicata la tenia, fascia che incornicia i riccioli e conferisce regalità all’acconciatura. Il Bronzo B ha la testa liscia, deformata verso l’alto per accoglie­re meglio l’elmo corinzio rialzato sul capo in modo da lasciare il volto scoperto.
La datazione dei Bronzi di Riace è controversa. Di certo essi rap­presentano due capolavori della bronzistica del V secolo a.C.

I tesori del relitto di Porticello

Nel corso del 1969 alcuni pescatori di Villa San Giovanni rinven­gono, nelle acque dell’insenatura di Porticello, un piccolo giaci­mento archeologico sottomarino. Scavi subacquei sistematici iniziano nel 1970 e portano importanti novità sulla struttura del relitto e sul suo carico, affondato tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. I resti lignei dello scafo che è possibile recu­perare sono scarsi, ma sufficienti a conoscere le tecnica di fab­bricazione della nave che, inizialmente, doveva essere lunga circa 20 metri; doveva essere inoltre dotata di varie ancore con ceppo in piombo a barre separate e di contromarre rivestite da elementi in bronzo. Il vasellame rinve­nuto era in parte ad uso dell’equipaggio (ceramica acroma e a vernice nera), in parte costituiva il carico vero e proprio, cera­mica attica e anfore contenenti derrate alimentari. Un elemento caratteristico del carico era costituito da piccoli calamai, usati per contenere e trasportare l’inchiostro, merce rara in età antica.

Le cosiddette Testa del Filosofo e Testa di Basilea

Fra i tesori rinvenuti all’interno del relitto di Porticello spiccano alcuni fram­menti di statue in bronzo attribuibili a figure maschili nude, forse atleti, e altri frammenti con ogni probabilità riconducibili a una figura maschile a grandezza naturale, vestita con una lun­ga veste drappeggiata, la cui testa barbata è pervenuta integra. Non vi sono elementi che permettano di identificare con cer­tezza la natura dell’immagine oggi nota come Testa di Filosofo, che potrebbe essere quella di un letterato o di un pensatore. Il volto presenta tratti molto marcati, occhi piccoli e folti baffi; la barba è molto lunga e le sue ciocche sono lavorate separata­mente, così come i riccioli della capigliatura.
Dallo stesso contesto proviene la c.d. Testa di Basilea, caratte­rizzata da una fitta barba e da una benda tra i riccioli dei capelli. È databile alla metà del V secolo a.C.